Opuscolo satirico del 1860: frasi e storie da...melodramma!
Che il melodramma italiano ottocentesco, in particolare quello verdiano, sia stato un’espressione dello spirito del Risorgimento è quasi un luogo comune della storiografia musicale.
Non vi è dubbio che alcune pagine celebri, come i cori del Nabucco o dell’Ernani (ma anche i belliniani “Guerra, guerra” e “Suoni la tromba e intrepido”) furono in determinati momenti sentiti e utilizzati come espressione neppure troppo metaforica di un sentimento rivoluzionario collettivo; tuttavia oggi si tende a ridimensionare il significato politico del melodramma nel suo complesso, come genere, tanto più che i brani utilizzati venivano spesso investiti di tale significato al di là dell’originaria volontà degli autori e indipendentemente dalle loro personali idee politiche.
Questo punto di vista può essere rafforzato da un curioso opuscolo satirico, di nessuna pretesa letteraria, del 1860, che ripercorre gli avvenimenti della seconda guerra d’indipendenza in un collage di citazioni di popolari brani operistici.
Non v’è distinzione tra le opere cui si poteva attribuire un esplicito messaggio politico (Nabucco, Attila) e quelle in cui tale messaggio era assente.
La funzione politica dell’opera nel periodo risorgimentale non consisteva nell’intervento diretto, ma piuttosto nella creazione di un patrimonio di frasi e di immagini note a tutti, che facilmente si facevano efficace veicolo di messaggi ideologici.
L’opuscolo Accademia musicale comico, seria, storica, politica, militare, diplomatica, ecc. eseguita nel 1859-Torino 1860, fornisce inoltre la testimonianza della popolarità di un repertorio teatrale stabile e l’unica opera non italiana citata è Gli Ugonotti, sintomo significativo del prestigio di cui godeva questo grand opéra.
Buona lettura e buon ascolto!
Vittorio, Cavour, Garibaldi e Italiani di ogni provincia, cantano a coro la cavatina di Attila:
Cara Patria, già madre e regina
Di possenti e magnanimi figli,
or macerie, deserti e rovina
su cui regna silenzio e squallor,
sorgi e spera, fra poco redenta
Tornerai all’antico splendor.
L’Italia risponde dalle quinte colla cavatina della Traviata:
Ah forse è lui che l’anima
Solinga nei tumulti,
godea sovente pingere
dei suoi colori occulti.
Cavour la va a prendere nelle quinte, e la conduce sul palcoscenico, cantandole affettuosamente l’altra aria della Traviata:
Italia, Italia di questo cuore
Non puoi comprendere tutto l’amore
Tu non conosci che fino a prezzo
Del tuo disprezzo provato io l’ho:
ma verrà tempo in che il saprai
com’io t’amassi confesserai
L’Italia si fa coraggio e guardandolo con compiacenza gli risponde con la cavatina dell’Ernani:
Cavour, Cavour involami
All’abborrito amplesso,
pugnam se teco vivere
mi fia d’amor concesso.
L’Austria cerca d’interrompere il duetto, cantando con rabbia l’aria del Trovatore:
Dirgli o folle, io t’amo, ardisti
ei più vivere non può
un accento proferisti
che a morir lo condannò.
e si prepara a invadere il palcoscenico … piemontese. Intanto manda innanzi il barone di Hellesperg, il quale intuona al Piemonte con molta forza l’adagio dell’Ernani:
Lo vedrem, Piemonte audace
Se resistermi saprai
Se tranquillo sfiderai
La vendetta di Checchin.
e gli ordina di mandar subito a casa i volontari e domandar perdono all’Austria. Il Piemonte freme e Cavour risponde coll’aria della Lucrezia Borgia:
Qualunque sia l’evento
Che può recar fortuna
Nemico non pavento
L’altero ambasciator.
Vittorio lo guarda pure fieramente e lo congeda colle parole della Lucia:
Sulla tomba che rinserra
Il tradito genitore,
agli Asburgo eterna guerra
io giurai nel mio furore…
[…]
Giuliay si mette in marcia, intuonando l’aria del Nabucco:
Tremin gl’insani, del mio furore
Vittime tutti cadranno ormai,
in mar di sangue, fra pianti e guai
l’empia Torino cader dovrà.
I volontari gli rispondono con il coro del Birraio di Preston:
Alla guerra, alla guerra corriamo
Della patria l’onor difendiamo.
E l’armata piemontese gli accompagnava con entusiasmo con il coro di Macbeth:
La patria tradita
Piangendo ne invita
Fratelli la Patria
Corriamo a salvar.
[…]
L’armata austriaca è battuta dai piemontesi e francesi a Montebello e Palestro. Vittorio canta con molta forza l’aria d’Ezio nell’Attila:
Se a Vittorio rimane la spada
Sarà salvo il gran nome Italiano
Vel provai di Custoza sul piano
E provarlo anche adesso il saprò.
E lo canta tanto bene, che il terzo reggimento degli Zuavi fra gli applausi gli intuona un inno ( che per ora non si legge in nessuna opera) e che comincia così:
O prode re Vittorio,
Soldato e generale
Il terzo degli Zuavi
Ti elegge Caporale.
L’Imperatore d’Austria parte in fretta da Vienna per Verona con la strada ferrata, cantando l’aria del Giuramento:
O barbaro Giulay Milano m’hai rapita
E senza Lombardia, vuoi ch’io rimanga in vita?
[…]
La banda militare accompagna l’esecuzione della bellissima Sinfonia intitolata La battaglia di Solferino. L’Austria si ritira scorbacchiata fra le quinte cantando l’aria della Lucia:
Tu ci togli eterno Iddio
Questa vita disperata,
io son tanto sventurata
che la morte è un ben per me.
Giulay l’accompagna con dolce rimprovero cantandole l’aria della Norma:
Qual cor tradisti,
qual cor perdesti
Quest’ora orrenda
ti manifesti.
L’imperatore gli risponde coll’aria del Nabucco:
Chi mi toglie il regio scettro?
Qual m’incalza orrendo spettro?
[…]
Qui succede una scena muta, uno scambio di corrieri, di dispacci, di inviati e di protocolli che si chiude coll’aria dell’Attila cantata da Napoleone III:
Avrai tu la Venezia
Resti l’Etruria a me
e dichiara di cedere la Lombardia al Piemonte.
Vivrò?...contende il giubilo
I detti a me signore
Il piè sulla Venezia porrò
con più rigore
e firma la Pace di Villafranca.