Canto degli Italiani

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Michele Novaro (1822-1885), genovese, ebbe breve carriera di cantante, ma fu notevole didatta e discreto compositore di melodrammi.

In gioventù cantò in due opere di Donizetti: nella Linda di Chamounix (1842) e nella Maria di Rohan (1843); in seguito condusse una apprezzabile carriera di secondo tenore al regio di Torino.

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Ai giorni nostri è famoso per aver composto la musica dell’inno patriottico Canto degli italiani (1847), con i versi di Goffredo Mameli, meglio conosciuto come Fratelli d’Italia. Dal 1946 al 2006 è stato l’inno nazionale “provvisorio” della Repubblica italiana (spesso fu proposto di sostituirlo con il Va pensiero verdiano): ora, per decreto, è stato riconosciuto definitivamente come nostro inno.

Narra la leggenda che una sera di settembre del 1847, durante una riunione tra patrioti e appassionati di musica a Torino, il pittore genovese Ulisse Borzino portò a Novaro la bozza del Canto degli Italiani che gli mandava Mameli. Novaro improvvisò subito una marcia; durante la notte perfezionò l’unica sua opera che lo renderà famoso ai posteri.

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In quello stesso periodo Mameli fu il destinatario d’un breve carteggio con Mazzini, il quale chiedeva al poeta, in una lettera del 6 giugno 1848 (allegando una nota di Verdi), un inno patriottico che poi il maestro avrebbe musicato. Il testo fu scritto e l’inno musicato: ebbe (ed ha ) il nome di Suona la tromba. Verdi lo mandò al grande patriota italiano accompagnandolo con queste parole: «Ho cercato d’essere più popolare e facile che mi sia stato possibile. Fatene quell’uso che credete: abbruciatelo anche se lo credete degno […] Possa quest’inno, fra la musica del cannone, essere presto cantato nelle pianure lombarde. Ricevete un cordiale saluto di chi ha per voi tutta la venerazione».

La testimonianza più nota, sulla nascita dell'inno, è quella resa da Carlo Alberto Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli.

Siamo a Torino: "Colà, in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra d'Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari - Del nuovo anno già l'alba primiera - al recentissimo del piemontese Bertoldi - Coll'azzurra coccarda sul petto - musicata dal Rossi. In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: - To' gli disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos'è; gli fan ressa d'attorno. - Una cosa stupenda! - esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. - Io sentii - mi diceva il Maestronell'aprile del '75, avendogli io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli - io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo. Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia."

Testo dell'Inno d'Italia

Fratelli d'Italia (01)
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria? (02)
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte (03)
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi. (04)
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme: (05)
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore (06)
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio (07)
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano, (08)
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla, (09)
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute: (10)
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco, (11)
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

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(01)
La cultura di Mameli è classica ed è forte in lui il richiamo alla romanità. L'Italia, ormai pronta alla guerra contro l'Austria, si cinge la testa, in senso figurato, (s'è cinta la testa) con l'elmo dell'eroico generale romano Publio Cornelio Scipione, detto poi l'Africano, (Scipio) che nel 202 a.C. sconfisse il generale cartaginese Annibale nella famosa battaglia di Zama (nella attuale Algeria), riscattando così la precedente sconfitta di Canne e concludendo la seconda guerra punica. Dopo la disfatta, Cartagine sottoscrisse il trattato di pace con Roma per evitare la totale distruzione.
(02)
Qui l'autore si riferisce al fatto che la Dea Vittoria fu già schiava di Roma per volere divino, ed ora la invita ad inchinarsi alla nuova Italia ed a Roma (le porga la chioma).
(03)
La coorte era la decima parte della Legione Romana.
(04)
Mameli sottolinea il fatto che l'Italia non è unita. All'epoca infatti (1848) era ancora divisa in sette Stati.
(05)
Mameli manifesta la sua speranza (speme) che l'Italia si raccolga attorno ad una unica Bandiera perchè l'ora di fondersi assieme è già suonata.
(06)
Qui l'autore, mazziniano e repubblicano convinto, traduce il disegno politico di amore ed unione di Giuseppe Mazzini, creatore della "Giovine Italia" e della "Giovine Europa".
(07)
Il verso "Uniti per Dio" in alcune versioni appare come "Uniti con Dio", per non essere confusa con l'espressione popolare e quasi blasfema "per Dio" ancora oggi in uso nel linguaggio popolare italiano. Nel poema però il verso è derivato da un francesismo che significava "da Dio" o "attraverso Dio".
(08)
In questa strofa, Mameli ripercorre sei secoli di lotta contro il dominio straniero. Anzitutto, la battaglia di Legnano del 1176, in cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa (ovunque è Legnano). Poi, l'estrema difesa della Repubblica di Firenze, assediata dall'esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu simbolo il capitano Francesco Ferrucci (ogn'uom di Ferruccio ha il cor, la mano). Dieci giorni prima della capitolazione di Firenze (2 agosto) egli aveva sconfitto le truppe nemiche a Gavinana. In Firenze fu ferito, catturato ed ucciso da Fabrizio Maramaldo, un italiano al soldo dello straniero, al quale rivolge le parole d'infamia divenute celebri "Tu uccidi un uomo morto".
(09)
La figura di Balilla (I bimbi d'Italia si chiaman Balilla), sebbene non accertata storicamente, rappresenta il simbolo della rivolta popolare di Genova contro gli austro-piemontesi. Dopo cinque giorni di lotta, il 10 dicembre 1746 la città è finalmente libera dalle truppe austriache che l'avevano occupata e vessata per diversi mesi . Il verso "Il suon d'ogni squilla i Vespri suonò" invece si riferisce al fatto accaduto la sera del 30 marzo 1282, quando tutte le campane della città di Palermo chiamarono il popolo ad insorgere contro i Francesi di Carlo d'Angiò, e quelle giornate di lotta furono chiamate I Vespri Siciliani.
(10)
L'Austria era in declino e le truppe mercenarie (le spade vendute) apparivano deboli come giunchi (son giunchi che piegano). Con questa strofa Mameli lo sottolinea fortemente tanto che in origine fu censurata dal governo piemontese.
(11)
L'Austria, assieme alla Russia (il cosacco), aveva crudelmente smembrato la Polonia (bevè col cosacco), ma il sangue dei due popoli oppressi (il sangued'Italia, il sangue Polacco) si fa veleno che dilania il cuore della nera aquila d'Asburgo.

Commento al testo tratto dal sito del Quirinale www.quirinale.it