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Compositore: Giuseppe Verdi
Librettista: Temistocle Solera

Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 9 marzo 1842

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Trama dell'opera

Atto I - Gerusalemme

Gli Ebrei riuniti nel tempio di Gerusalemme piangono la loro sconfitta nella guerra contro i Babilonesi. Zaccaria, il Gran Sacerdote, li invita a non disperare perché il Dio di Israele ha dato un segno del suo potere: Fenena, la figlia del re assiro, è loro prigioniera. Il giovane Ismaele, nipote di Sedecia re d'Israele, reca la notizia dell'imminente arrivo di Nabucco e del suo esercito. Quando Zaccaria gli affida la custodia di Fenena, egli riconosce la fanciulla che l'ha salvato dalla prigione al tempo della sua missione di ambasciatore a Babilonia. Ismaele, che ama, riamato, la figlia del suo nemico, intende ora ricambiare tanta generosità ma, mentre sta per trarre in salvo la fanciulla, viene fermato da Abigaille - una schiava ambiziosa ritenuta la seconda figlia di Nabucco - che irrompe nel tempio alla testa di un manipolo di guerrieri assiri travestiti da Ebrei. La donna propone al giovane, di cui è anch'essa innamorata, uno scambio: il suo amore contro la salvezza del popolo ebraico. Ma Ismaele la respinge. Una folla di Ebrei in fuga cerca invano rifugio nel tempio invaso dai nemici. Nabucco giunge con i suoi fino alla sacra soglia e Zaccaria lo sfida avvertendolo che se tenterà di profanarla Fenena sarà uccisa. Il re dapprima finge di esitare ma poi, deciso a distruggere ad ogni costo il regno d'Israele, sfida il Sacerdote ed ordina agli Ebrei di prostrarsi davanti a lui. Zaccaria reagisce alzando il pugnale su Fenena ma Ismaele ferma la sua mano e libera la fanciulla attirando su di sé l'ira del suo popolo, che lo accusa di tradimento. Nabucco ordina di saccheggiare il tempio, mentre Abigaille si ripromette di cancellare dalla faccia della terra il popolo maledetto cui appartiene l'uomo che l'ha respinta.

Atto II - L'empio

Abigaille, sola negli appartamenti reali, tiene fra le mani una pergamena sottratta a Nabucco, che attesta le sue umili origini di schiava. La sua rabbia esplode in una furia incontenibile alla notizia che Fenena, nominata Reggente dal padre, ha dato ordine di liberare tutti gli Ebrei. Ormai Abigaille è decisa a tutto pur di impossessarsi del trono.
Zaccaria, prigioniero degli Assiri, entra in una sala della reggia seguito da un Levita che reca le Tavole della Legge e, dopo aver sollecitato Iddio a parlare attraverso il suo labbro, si ritira.
Ismaele, convocato dal Pontefice per rispondere del suo tradimento, è maledetto dai Leviti, ma Anna, sorella di Zaccaria, lo difende; il giovane infatti non ha salvato la vita ad un'infedele bensì ad un'Ebrea, giacché la figlia del re nemico si è nel frattempo convertita alla Legge.
La situazione precipita: in un rapidissimo susseguirsi di eventi Abigaille irrompe in scena con il suo seguito e pretende da Fenena la corona, ma Nabucco, creduto morto in battaglia, giunge e richiede per sé la corona. Poi comincia a deridere il Dio Belo, che avrebbe spinto i prigionieri a tradirlo, e dopo anche il Dio degli ebrei. Esige di essere adorato come l'unico Dio, minacciando di morte Zaccaria e gli Ebrei se non si piegheranno al suo volere. Subito dopo il Dio degli Ebrei scaglia un fulmine sul suo capo, la corona cade al suolo e il re comincia a manifestare segni di follia. La corona viene prontamente raccolta da Abigaille.

Atto III  - La profezia

Abigaille, seduta sul trono accanto alla statua d'oro di Belo, nei giardini pensili di Babilonia, riceve l'omaggio dei suoi sudditi. Quando il Gran Sacerdote le consegna la sentenza di condanna a morte degli Ebrei, la regina si finge ipocritamente incerta sul da farsi. All'arrivo del re spodestato in vesti dimesse e con lo sguardo smarrito  l'usurpatrice cambia atteggiamento e gli si rivolge con ironica arroganza, dando ordine di ricondurlo nelle sue stanze. Quindi lo avverte di essere divenuta la custode del suo seggio e lo invita perentoriamente a porre il regale suggello sulla sentenza di morte degli Ebrei. Il vecchio re esita, Abigaille lo incalza accusandolo di viltà e alla fine Nabucco cede. Ma lo coglie un dubbio: che ne sarà di Fenena? Abigaille, implacabile, afferma che nessuno potrà salvare la fanciulla e gli ricorda che anch'essa è sua figlia. Ma il re la sconfessa: ella è solo una schiava. La donna trae dal seno la pergamena che attesta la sua origine e la fa a pezzi. Il re, ormai tradito e detronizzato, nell'udire il suono delle trombe che annunciano l'imminente supplizio degli Ebrei chiama le sue guardie, ma esse giungono per arrestarlo obbedendo agli ordini della nuova regina. Confuso e impotente, Nabucco chiede invano ad Abigaille un gesto di perdono e di pietà per la povera Fenena.
Sulle sponde dell'Eufrate gli Ebrei, sconfitti e prigionieri, ricordano con nostalgia e dolore la cara patria perduta (coro: Va', pensiero, sull' ali dorate). Il Pontefice Zaccaria li incita a non piangere come femmine imbelli e profetizza una dura punizione per il loro nemico: il Leone di Giuda sconfiggerà gli Assiri e distruggerà Babilonia.


Atto IV - L'idolo infranto

Nabucco, solo in una stanza della reggia, si sveglia da un incubo udendo alcune grida e, credendole segnali di guerra, chiama i suoi prodi a raccolta per marciare contro Gerusalemme. Tornato in sé all'udire altre voci che ripetono il nome di Fenena, egli si affaccia alla loggia e vede con orrore la figlia in catene. Disperato, corre alla porta, tenta invano di aprirla e infine, rendendosi conto di essere prigioniero, cade in ginocchio e si rivolge al dio di Giuda invocando il suo aiuto e chiedendogli perdono. Come in risposta alla sua preghiera, sopraggiunge il fedele ufficiale Abdallo con un manipolo di soldati, restituendogli la spada e offrendosi di aiutarlo a riconquistare il trono.
Nei giardini pensili di Babilonia passa il triste corteo degli Ebrei condotti al supplizio. Zaccaria conforta Fenena incitandola a conquistare la palma del martirio; la fanciulla si prepara a godere delle gioie celesti. L'atmosfera mistica è interrotta dall'arrivo di Nabucco che, alla testa delle sue truppe, ordina di infrangere la statua di Belo. Miracolosamente, «l'idolo cade infranto da sé». Tutti gridano al «divino prodigio», Nabucco concede la libertà agli Ebrei, annunzia che la perfida Abigaille si è avvelenata e ordina al popolo d'Israele di costruire un tempio per il suo Dio grande e forte, il solo degno di essere adorato. Mentre tutti, Ebrei ed Assiri, s'inginocchiano invocando l'«immenso Jehova», entra Abigaille sorretta da due guerrieri: la donna confessa la sua colpa e invoca il perdono degli uomini e di Dio prima di cadere esanime. Zaccaria rivolge a Nabucco l'ultima profezia: «Servendo a Jehova sarai de' regi il re!».

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Renata R.- Giada B. - Rossella G. - Germana N. - Andrea C. - Nawel L. - Federica T. (Classe 3A - gruppo 1)

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I vespri siciliani (titolo originale: Les vêpres siciliennes) è un'opera lirica in francese di Giuseppe Verdi. Debuttò all'Opéra di Parigi il 13 giugno 1855. Il libretto è di Eugène Scribe e Charles Duveyrier, ispirato alla vicenda storica dei Vespri siciliani. L'opera è molto nota e viene eseguita frequentemente, specialmente nella sua revisione italiana. Maria Callas coprì il ruolo di Elena nel 1951 alla Scala.


Censura
La censura allora vigente in Italia annullò l'effetto patriottico dell'opera: nella prima rappresentazione italiana l'opera fu ribattezzata Giovanna di Guzman, e l'azione spostata in Portogallo, su libretto di Arnaldo Fusinato; al Teatro San Carlo, l'opera fu rappresentata con il titolo di Batilde di Turenna.


I nomi dei protagonisti
Dalla versione italiana a quella francese ovviamente i nomi furono cambiati: ecco che Henri diventa Arrigo, Montfort diventa Monforte, Jean Procida ritorna Giovanni da Procida, Hélène ovviamente diventa Elena.

Trama


Atto I

Mentre i soldati francesi invasori festeggiano in una piazza di Palermo, Elena, duchessa e sorella del duca Federigo d'Austria, dichiara espressamente il desiderio di vendicar il fratello. I soldati francesi la invitano a cantare. Elena canta un'aria che incita alla rivolta i siciliani. Scoppia una sommossa, ma l'arrivo del governatore Montforte atterrisce i siciliani. Subito dopo arriva Arrigo, che, non riconoscendo Montforte, esprime il suo odio per il governatore nonostante questo abbia dato ordine di liberarlo. Montforte si svela, e offre ad Arrigo di diventare ufficiale dell'esercito francese. Arrigo rifiuta inorridito, e sprezza il consiglio del governatore di star lontano da Elena.


Atto II


Giovanni da Procida, patriota siciliano, è appena sbarcato (O tu, Palermo, saluto del patriota alla Sicilia). Viene raggiunto dai suoi fedeli soci, tra i quali Elena ed Arrigo, che discutono con Procida sul modo con cui indurre i Siciliani alla rivolta. Arrigo rivela il proprio amore ad Elena, che dice di ricambiarlo, ma deve pensare prima a vendicare il fratello, non all'amore. Appaiono i soldati di Montforte che prelevano Arrigo e lo portano dal governatore. Intanto, i soldati francesi hanno rapito le dodici future spose di alcuni palermitani durante le nozze. Istigati da Elena e Procida, i siciliani si stanno ribellando, ma da lontano echeggiano le risa dei nobili francesi che s'avviano alla festa a casa di Montforte per la sera. I siciliani, arrabbiati più che mai, giurano vendetta.


Atto III


Nel palazzo, Montforte rilegge una lettera inviatagli da una donna siciliana, che, costretta a diventare sua amante, lo informa di essere il padre di Arrigo. Convocatolo, il governatore dice al giovane di essere suo padre. Durante la festa, viene fatto un ballo (Ballo delle stagioni). Arrigo si imbatte in Elena e Procida, che gli confidano che Montforte verrà ucciso seduta stante. Arrigo, mentre Elena si avventa sul governatore, gli fa scudo col proprio corpo. I cospiratori rimangono attoniti per il tradimento di Arrigo. Elena e Procida vengono rinchiusi in prigione.


Atto IV


Arrigo, vicino alle prigioni, convocata Elena, le rivela il motivo del suo gesto. La donna cambia atteggiamento, e lo perdona, confessandogli il suo amore (Arrigo, tu parli ad un core). Anche Procida, comprendendo ciò, lo perdona. Subito entra Montforte, che ordina l'esecuzione dei cospiratori. Elena e Procida danno l'addio alla patria. Un coro di monaci intona il De profundis. Arrigo supplica Monforte di non ucciderli. Montforte lo farà solo se lo chiamerà "padre". Alla fine, proprio prima che il boia uccida i cospiratori, Arrigo si arrende e lo chiama col fatidico nome. Montforte grazia tutti e ordina il matrimonio tra Elena e il figlio, i vespri dello stesso giorno.


Atto V


Elena riceve le amiche nel giardino (Mercè dilette amiche, bolero), felice del futuro matrimonio e si incontra con l'amato Arrigo. Procida le si avvicina e le fa sapere che ci sarà una sommossa al suon delle campane. Elena si ribella, ma Procida la accusa di stare dalla parte del governatore.
Arrigo, confuso, tenta di convincere Elena a sposarlo, ma lei è dubbiosa. Entra Montforte, e unisce i due giovani nel sacro vincolo del matrimonio. Risuonano le campane dei vespri, ed Elena, inorridita, tenta di avvertire Monforte, ma i siciliani, guidati da Procida, irrompono nel giardino e lo uccidono (Vendetta, vendetta).

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Opera de Paris

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Chiara R. - Adriano P. - Silvia O. - Leonardo L. - Raul S. - Ottavia M. - Niccolò D. - Allison S.  (Classe 3B - Gruppo 3)

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Dramma lirico in un prologo e tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Temistocle Solera, (con successivo intervento di Francesco Maria Piave) tratto da Attila re degli Unni di Zacharias Werner.

Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 17 marzo 1846

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Trama:
Atto I

L`azione si svolge alla metà del V secolo ad Aquileja. La città è stata semidistrutta dalla invasione degli Unni al comando del feroce Attila; la notte è rischiarata dalle torce e dagli ultimi bagliori degli incendi. Un gran numero di Unni, Eruli ed Ostrogoti rende omaggio al condottiero. Uldino, un giovane bretone schiavo di Attila, presenta al vincitore un gruppo di vergini di Aquileja scampate al massacro dopo aver valorosamente combattuto al fianco dei loro padri e fratelli: fra esse è Odabella, che ha visto perire il proprio padre e crede perduto anche Foresto, l`uomo che amava. Attila, colpito dalla bellezza e dalle fiere parole della fanciulla, se ne innamora e le fa dono della sua spada, ordinando che assieme alle altre vergini, Odabella sia condotta al campo e faccia parte della sua corte. Odabella cinge la spada di Attila, fingendo di sottomettersi all`invasore, ma meditando la vendetta. Allontanate le donne, viene introdotto Ezio, valoroso generale romano, che in odio al giovane imperatore Valentiniano, viene ad offrire ad Attila il suo aiuto per le future conquiste, pur di avere in cambio l`Italia. Ma Attila rifiuta sdegnosamente ogni compromesso: egli vuole conquistare Roma e le città italiche con la forza. Colpito, Ezio ribatte che se Attila non lo vuole alleato, lo avrà, come nel passato, valoroso nemico sul campo di battaglia.
Rio Alto, nelle lagune adriatiche. Gli eremiti che vivono nelle capanne costruite su palafitte accolgono gioiosamente donne e uomini di Aquileja, che sarà presto ricostruita più forte e più bella sulle sue rovine. La nuova città sarà, anzi, edificata sulle palafitte su cui sorgono ora le misere capanne degli eremiti.


Atto II

Un bosco presso il campo di Attila. E`notte: Odabella piange il padre e l`amato Foresto, quando sopraggiunge quest`ultimo, che è riuscito a raggiungerla sfidando mille pericoli. Il giovane credendo che Odabella lo abbia tradito, tratta aspramente la fanciulla, ricordandole la patria distrutta, il padre ucciso, il loro antico amore. Ma Odabella si difende disperatamente dalle accuse di Foresto: ella sarà come Giuditta che salvò Israele uccidendo Oloferne. Per questo ha accettato di seguire Attila ed ha cinto la sua spada: con questa spada ella vendicherà la patria, uccidendo l`invasore. Pentito, Foresto abbraccia Odabella, rinnovandole il suo amore.
La tenda di Attila. Il condottiero dorme, vegliato dallo schiavo Uldino. Ma improvvisamente Attila si sveglia, terrorizzato da un incubo: gli è apparso in sogno un vegliardo, che, venendogli incontro, gli vietava l`ingresso a Roma, terra di Numi e non di comuni mortali. Ma Attila si riprende presto e, convocati i suoi duci, ordina che squillino le trombe per muovere contro Roma. Le trombe hanno appena cominciato a squillare, che si ode un coro mistico che si fa sempre più vicino. Dalla collina avanza un lungo corteo di vergini di fanciulli romani. Alla loro testa è Papa Leone: il vegliardo che Attila ha sognato e gli ripete le fatali parole del sogno. Tutti restano sorpresi e smarriti, e più degli altri Attila che, sopraffatto da invincibile terrore, si prostra dinanzi a Leone, rinunciando alla conquista di Roma.


Atto III

Il campo di Ezio in prossimità di Roma. Il generale romano legge con ira una lettera dell`imperatore Valentiniano, che gli annuncia la tregua con gli Unni e gli ordina di ritornare a Roma. Egli sogna di riportare la città agli antichi splendori, sottraendola al comando di un imbelle giovinetto. Giunge un ambasceria Unna ad invitare Ezio al campo di Attila. Fra essi, travestito è Foresto che, rimasto solo con Ezio, gli rivela che Attila sarà ucciso in quello stesso giorno: le schiere romane siano pronte ad un suo cenno. Quando vedranno un fuoco divampare dalla collina, si gettino sugli Unni che, privi del loro campo, saranno in breve sconfitti.
Il campo di Attila. Nella notte rischiarata dalle torce si prepara un solenne convito. Attila, con il suo seguito, riceve Ezio, e lo invita a suggellare la tregua. Mentre le sacerdotesse intonano il loro canto, un vento improvviso, spegne gran parte dei fuochi: Foresto avverte nascostamente Odabella che nella tazza che fra poco Attila porterà alle labbra Uldino ha versato un potente veleno. Ma proprio mentre Attila sta per bere, Odabella che vuole il nemico ucciso di mano sua e non per il tradimento di uno dei suoi fidi, avverte il condottiero che nel calice vi è del veleno. Foresto si proclama colpevole ed ha salva la vita solo perché Odabella lo chiede ad Attila in cambio della sua rivelazione. Mentre Attila annuncia per l`indomani le sue nozze con Odabella, ora ben degna di essere sua sposa, e il suo proponimento di riprendere la lotta contro Roma, Foresto maledice Odabella per quello che egli crede un atroce tradimento. E invano la fanciulla lo supplica di fuggire, assicurandolo che fra poco ella potrà avere intero il suo perdono.
Nel bosco che divide il campo di Attila da quello di Ezio. Foresto attende che Uldino gli rechi notizie delle nozze di Attila con Odabella. Uldino annuncia che il corteo sta accompagnando la sposa alla tenda del condottiero. Le schiere romane stanno in armi al di là del bosco, e Foresto invia Uldino a dar loro il segnale dell`attacco. Mentre il giovane impreca per il tradimento di Odabella, invano esortato alla calma da Ezio, giunge correndo Odabella, fuggita dal campo barbaro; la segue, fuori di sé, Attila, che viene investito da tre nemici: Odabella gli ricorda la morte del padre, Foresto, la patria ed il suo amore distrutti, Ezio, tutti i suoi delitti e la distruzione che ha portato nel mondo. Mentre si ode il clamore dell`assalto romano al campo di Attila, Foresto si slancia a trafiggere il barbaro, ma è prevenuto da Odabella che con la spada donatele dal condottiero compie finalmente la sua vendetta.

 

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Come nasce l'opera Attila

In piena atmosfera romantica, Verdi legge un saggio di Madame de Staël, De l’Alemagne, che contiene un riassunto del dramma di Zacharias Werner, Attila re degli Unni. Il librettista Andrea Maffei (il futuro librettista de I Masnadieri) dà a Verdi lo spunto per un soggetto "barbaro" e il Maestro, memore delle recenti letture che lo avevano entusiasmato, si mette al lavoro per adattare proprio il dramma di Werner. Affidata la trasposizione in versi a Temistocle Solera, Verdi sceglie il Teatro La Fenice di Venezia come luogo idoneo alla sua prima rappresentazione. Il libretto tarda ad arrivare poiché Solera, dalla capitale spagnola nella quale si era trasferito, oppresso dai debiti, non spedisce le ultime scene del libretto. Verdi decide dunque di rivolgersi a Francesco Maria Piave per il completamento di quest’ultimo e il 17 marzo 1846 l’Attila va in scena con discreto successo.


 

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Curiosità


L'incontro tra Papa Leone e Attila si risolse non solo per l'omaggio dell'oro da parte di Roma ad Attila come pegno per non essere attaccata ma anche con la notizia, funesta per Attila, che la principessa di Costantinopoli, a cui Attila aveva inviato un anello di fidanzamento con lo scopo di unire le sue terre, l'Alemania, e Tolosa, a Roma. Saputo, Attila, da Papa Leone, che la amata principessa di Costantinopoli non avrebbe lasciato la corte per lui, si ritirò deluso.

Sposò al ritorno una fanciulla e la notte stessa, per i bagordi della festa e per la delusione di non essere un Re, un imperatore di Roma e di unire tutta l'Europa, morì di crepacuore.

Sepolto con la sua giovane sposa viva, come volevano le leggi Unne, gli fu sepolto insieme l'oro di Roma. Da allora finisce il mito di Attila e quello degli Unni di cui, appunto, molti andarono in Britannia e in Inghilterra una volta finita l'epopea di Attila e da lì le leggende e i canti dei trovatori si mischiarono fino ad arrivare alla leggenda del Graal e di Re Arthur appunto che, secondo storici inglesi, aveva discendenze appunto unne.

Si narra però che quando Carlo Magno sconfisse gli Avari, discendenti degli Unni e dei Magyari ( Ungheresi di ieri e di oggi ) dovette fare 12 viaggi con dodici carri per trasportare le fortune Unne in Francia a da allora la Francia divenne la grande potenza che l'Europa con Carlo il Magno conobbe.

Addirittura si narra che in quel tesoro Carlo cercasse anche il sacro Graal che invece sarebbe sorto come leggenda, o realtà, solo dopo con Re Arthur.
 

Attila - Preludio

Finchè d'Ezio rimane la spada

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Federica M. - Matteo P.-  Alexia F. - Daniele  E. -  Marko J. - Andrea D. - Andrian G. - Classe 3C - gruppo 1

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Macbeth è la decima opera lirica di Giuseppe Verdi, composta nel 1847. Il libretto, tratto dal Macbeth di William Shakespeare, fu firmato da Francesco Maria Piave, ma molte parti furono riviste o riscritte da Andrea Maffei. Dopo l'iniziale successo, il 14 marzo 1847, al Teatro della Pergola di Firenze, l'opera cadde nell'oblio, e in Italia fu riesumata al Teatro alla Scala il 7 dicembre 1952, con Maria Callas nel panni della protagonista femminile. Da allora è entrata stabilmente in repertorio.

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Trama
Atto I


In Scozia Macbeth e Banco sono di ritorno da una vittoriosa battaglia contro i rivoltosi. Incontrano tre streghe, che fanno loro una profezia: Macbeth sarà signore di Cawdor e in seguito re di Scozia, mentre la progenie di Banco regnerà. Parte della profezia si avvera subito. Giunge infatti un messaggero che comunica a Macbeth che re Duncano gli ha concesso la signoria di Cawdor. Venuta a conoscenza della profezia delle streghe, l'ambiziosa Lady Macbeth incita il marito a uccidere il re.


Atto II


Del delitto viene incolpato il figlio di Duncano, Malcolm, che si trova costretto a fuggire in Inghilterra. Ora che Macbeth è re di Scozia, la moglie lo convince a liquidare Banco e soprattutto il figlio di costui, Fleanzio, nel timore che si avveri la seconda parte della profezia. I sicari di Macbeth assassinano Banco in un agguato, ma Fleanzio riesce a fuggire. Durante un banchetto a corte, Macbeth è terrorizzato dall'apparizione del fantasma di Banco.


Atto III


Inquieto, Macbeth torna dalle streghe per interrogarle. Il verdetto è oscuro: egli resterà signore di Scozia fino a quando la foresta di Birman non gli muoverà contro e che nessun "nato di donna" potrà nuocergli. Lady Macbeth, intanto, lo incita ad uccidere la moglie e i figli del nobile profugo Macduff, che insieme a Malcolm sta radunando in Inghilterra un esercito per muovere contro Macbeth.


Atto IV


L'esercito invasore giunge segretamente al comando di Malcom e Macduff. Giunti nei pressi della foresta di Birman, i soldati raccolgono i rami degli alberi e con questi avanzano mimetizzati dando l'impressione che l'intera foresta si avanzi (come nella profezia). Lady Macbeth, nel sonno, è sopraffatta dal rimorso e muore nel delirio. Macbeth, rimasto solo, fronteggia l'invasore, ma è ucciso in duello da Macduff, l'uomo che, venuto al mondo con una sorta di parto cesareo, avvera la seconda parte del vaticinio ("nessun nato di donna ti nuoce").

 

Patria oppressa

Curiosità

 

La complessa struttura del dramma shakesperiano in cinque atti fu sintetizzata da Piave in una struttura in quattro atti che risulta dal punto di vista "logistico" difficilmente rappresentabile per i numerosi cambi scena e le ambientazioni complesse, come le due scene ambientate nei boschi (introduzione dell'atto primo e finale ultimo) e una certa incongruenza nelle due parti dell'atto terzo (la Gran scena delle apparizioni e il duetto "Ora di morte e di vendetta"). Bisogna tuttavia riconoscere a Piave, la cui opera fu rivista dal Maffei, la solita grande abilità di composizione ed una, per quanto difficile, aderenza al testo di Shakespeare.

In questa opera si evidenzia ancora un Verdi molto legato alle forme tradizionali che lo portano, sulla partitura edita da Ricordi, ancora a suddividere le sequenze melodrammatiche in pezzi chiusi come Cavatine, Gran scena, sestetto, duetto e recitativo, una forma che abbandonerà solo dopo la Traviata con la partitura del Ballo in Maschera che risulta, per l'appunto, priva di tali suddivisioni e più omogenea. Il soggetto, caro a Verdi, come d'altronde tutti i soggetti di Shakespeare - che soleva chiamare Papà Guglielmo - si presenta molto bene articolato sul punto di vista delle voci, in una completezza che porta ad una soddisfazione intima dell'uditore che vede soddisfatte tutte le sue ambizioni musicali da ascoltatore. Infatti la schematizzazione dei personaggi nei gruppi del "bene" (Malcolm, Macduff, Banco) e del "male" (Lady Macbeth, Macbeth) sono riflessi dai modi di cantare: i primi cantano insieme ai cori e con declamati molto patetici  che rispondono all'ideale del "giusto" nell'opera ottocentesca; i secondi e soprattutto Lady Macbeth cantano sottovoce e con toni cupi espressamente evidenziati da Verdi nella partitura stessa.


I personaggi


Lady Macbeth


Lady Macbeth è il personaggio psicologicamente più sfaccettato: è inconsciamente malvagia, ma al tempo stesso fragile e compassionevole. È lei a spingere Macbeth, di per sé ignavo, verso la serie di efferati delitti che lo portano al trono. Verdi ha affidato il ruolo ad un soprano drammatico d'agilità, mantenendosi però nell'ambito di una tessitura media, quasi da mezzosoprano. Alla cantante sono richieste potenza e agilità insolite, una notevole estensione nel registro grave e una tecnica inappuntabile. Se si eccettua l'aria del primo atto "Vieni! t'affretta", con la brillante cabaletta "Or tutti sorgete", la sua musica ha un tono lugubre e inquietante. Si narra che Verdi, per la prima dell'opera, dicesse che la Lady dovesse avere voce sgradevole e strisciare sul palcoscenico, con caratteri più da demone che da donna.


Macbeth


Macbeth invece è un virile baritono a cui vengono affidate pagine brillanti e insieme di estrema introspezione (vedi il duetto Due vaticini e l'aria finale Pietà, rispetto, amore) che Verdi evidenzia con una accurata notazione sul rigo musicale a lui relativo.


Le streghe


Fra i gruppi di cui sopra si interpongono le streghe che sono i mezzi del fato. Le loro apparizioni sono due all'inizio dell'atto primo, nell'Introduzione, dove assumono dei caratteri grotteschi e quasi ironici e nell'atto terzo, dove invece sono le misteriose artefici del fato con lugubri toni e tuttavia grande grazia e sensibilità si richiede alle cantanti nel coretto ballabile "Ondine e silfidi".


L'edizione francese


Nell'edizione francese del 1863, Verdi aggiunse l'aria di Lady Macbeth "La luce langue", nel secondo atto e il Ballo del terzo atto. Esso rappresenta probabilmente la più bella incursione di Verdi nel regno della danza, caro al melodramma francese, unendo la consueta perizia teatrale ad una solida scrittura sinfonica, che si rivela anche con l'uso di quasi tutti i timbri dell'apparato orchestrale. Inoltre egli modificò numerosi passi, ne tagliò altri e riscrisse il coro "Patria oppressa".

La maledizione di Macbeth. Curiosa ricostruzione di coincidenze funeste legate all'opera Macbeth. Video realizzato da Sarah Martucci della classe 3A.

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Valeria P.- Clarissa M. - Sara M.- Simona C. - Federica T.- Valerio F. - Pietro S. - Alessandra C. - classe 3A - gruppo 2